Per capire perché si scriva nacque e non “naque”, conviene guardare sia alla coniugazione sia all’ortografia. Dal punto di vista morfologico, nacque è la terza persona singolare del passato remoto di nascere: la serie è “io nacqui, tu nascesti, egli nacque, noi nascemmo, voi nasceste, essi nacquero”. In questa famiglia di forme, la base presenta un’alternanza: dal tema nasc- si passa al tema nacqu- nelle persone che richiedono il rafforzamento consonantico; la grafia con cq rende appunto visibile quel rafforzamento. Nei repertori d’uso e nei coniugatori seri, la voce è registrata così e soltanto così.
Sul piano ortografico, la questione si chiarisce con una regola generale: in italiano la lettera q non si raddoppia da sola (qq), e quando occorre segnare la consonante intensa davanti a -u semiconsonantica seguita da vocale, si ricorre alla sequenza cqu. È una norma che si vede bene in parole come acqua e nei passati remoti nacque, piacque, giacque, tacque. Proprio la “Grammatica italiana” di Treccani riassume così la regola: “la grafia cqu è usata per indicare il grado intenso della consonante”, con “nacque” fra gli esempi; le uniche eccezioni in cui compare qq sono soqquadro e, più raramente, biqquadro.
Perché non si scrive allora “naque”? Perché “naque” cancellerebbe quel rafforzamento e non rispetterebbe la convenzione grafica che rappresenta il suono [ˈnak.kwe] con cq. In altri termini, cq è l’unico modo, in italiano, per marcare quella doppia occlusiva velare seguita da u semiconsonantica; non usiamo “qq” per questa funzione, salvo rarissime eccezioni storiche lessicalizzate. Una consulenza della Crusca spiega proprio che, dovendosi raddoppiare il suono reso da q, “il c gli si pone davanti, in sua vece”, donde sequenze come acqua, acquisto e, per estensione, nacque.
Vale la pena aggiungere un dettaglio spesso frainteso a scuola: non è vero che cqu si scriva “solo nelle parole derivate da acqua”. Quella è una scorciatoia mnemonica utile ma imprecisa. La norma, ricordata in una risposta di Treccani, è che cqu rappresenta il grado intenso /kkw/ in più contesti: dunque acqua, ma anche i passati remoti giacque, nacque, ecc. È un principio illustrato sia dalla lessicografia sia dalla manualistica moderna.
Riguardo alle oscillazioni nella tradizione, si incontrano talvolta, nei testi antichi o in trascrizioni d’area regionale, grafie come naque. Sono testimonianze storiche e non modelli per l’uso corrente. In un contributo della Storia di Venezia edita da Treccani compare, ad esempio, “Christo naque povero”, formula che rispecchia usi grafici del Cinquecento; oppure si trovano, in autori tre-quattrocenteschi, soluzioni oggi percepite come arcaiche. Analogamente, l’Enciclopedia Dantesca ricorda che in antico circolava anche la forma nascette come passato remoto di terza singolare: oggi è un tratto storico-letterario, non una possibilità dell’italiano standard. Tutto ciò conferma che “naque” può avere una presenza documentaria nel passato, ma non è accettabile nell’italiano odierno in contesti non filologici.
Per l’uso contemporaneo, quindi, la scelta è netta: quando serve il passato remoto alla terza persona singolare di nascere, si scrive nacque. Nella lingua d’oggi, fuori dai registri storici e dalla prosa letteraria d’intonazione tradizionale, è frequente che lo stesso significato temporale venga reso con il passato prossimo (è nato). Ma la questione ortografica non cambia: se si opta per il remoto, la forma corretta resta nacque; lo confermano i dizionari d’uso, con esempi cristallini come “Dante nacque nel 1265”.
Per fissare la grafia, è utile vedere nacque in frasi di registro e ambito diversi, tutte con ortografia corretta. In apertura di una biografia: “Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564 e trascorse l’infanzia tra la città natale e Firenze”, frase tipica da manuale scolastico o da voce enciclopedica. In un profilo d’autore più letterario: “Tra i vicoli della città vecchia nacque la voce che lo avrebbe reso celebre, impastata di polvere e di mare”, dove la nascita è biologica e, per metafora, stilistica.
In un testo di storia dell’arte si può leggere: “La bottega nacque come laboratorio di cornici e divenne, nel giro di pochi anni, un punto d’incontro per pittori e incisori”, dove il soggetto non è una persona, ma un’istituzione: la forma resta nacque. In una cronaca amministrativa: “Il nuovo comune nacque dalla fusione dei due precedenti enti locali, con l’obiettivo dichiarato di razionalizzare i servizi”. In un comunicato universitario: “Il Dipartimento nacque nel 1999 dall’unificazione di tre strutture didattiche”, soluzione perfetta in testi istituzionali che narrano fatti compiuti nel passato.
In narrativa breve: “Dalla loro amicizia nacque un sodalizio destinato a cambiare la scena musicale cittadina”, dove la costruzione con da mette in rilievo l’origine; e ancora: “Nel silenzio del laboratorio nacque l’idea di misurare la luce con un pendolo”, con il valore figurato di “iniziare a esistere”. In una recensione: “Nacque così la trilogia che avrebbe imposto l’autore all’attenzione internazionale”, dove la particella così riprende il passo precedente, utile a mostrare il nesso causale.
In ambito giuridico-storico: “La controversia nacque da un’interpretazione difforme del contratto”, formula comune in sentenze e pareri; e in un report aziendale: “Il brand nacque nel 2010 per intercettare una nicchia di mercato allora inesplorata”, tipica della comunicazione d’impresa. Nel registro giornalistico: “La protesta nacque sui social e si riversò in piazza nel giro di pochi giorni”, dove la sequenza mette in scena lo scatto iniziale dell’evento.
In uno stile più lirico: “Sulla soglia nacque un sorriso e le parole trovarono la strada”, costrutto che usa il verbo per rendere un’emersione improvvisa; e in un ricordo familiare: “Mia nonna nacque in una casa colonica, quando i filari arrivavano fino alla ferrovia”, frase in cui l’indicazione di luogo si lega con naturalezza alla forma remota. Persino in un testo regolamentare il verbo funziona bene: “La fondazione nacque per volontà dei soci promotori e si diede un primo statuto provvisorio”, dove la narrazione istituzionale chiede nettezza cronologica.
Chiudiamo con due frasi di taglio scolastico, che riassumono quanto detto: “Nel capitolo secondo nacque il conflitto che muove l’intera trama, quando l’eroe rifiuta la chiamata” e “La corrente letteraria nacque in ambiente urbano e trovò terreno fertile nelle riviste del primo Novecento”. In tutte queste occorrenze la grafia con cq è obbligata; sostituirla con “naque” tradirebbe la norma ortografica dell’italiano contemporaneo.
In sintesi, dunque, quando hai bisogno del passato remoto di nascere alla terza persona singolare, scrivi senza esitazioni nacque. La regola è sostenuta dalla descrizione ortografica corrente — cqu indica il rafforzamento della consonante nel nesso qu — e dalla coniugazione tradizionale del verbo, mentre le apparenti controprove “naque” appartengono a tradizioni grafiche antiche o regionali, non all’uso standard di oggi.