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di Luca Piccini

Mance o Mancie – Come Scrivere

Per capire perché “mance” sia l’unico plurale corretto di “mancia”, conviene richiamare la regola generale che governa i sostantivi femminili in -cia e -gia. Quando la i non è accentata, il comportamento della grafia varia in base alla lettera che precede c/g: se prima di -cia/-gia c’è una vocale, la i si mantiene e il plurale è in -cie/-gie (“camicia” → “camicie”, “valigia” → “valigie”); se invece prima di -cia/-gia c’è una consonante, la i cade e il plurale è in -ce/-ge (“arancia” → “arance”, “spiaggia” → “spiagge”). Resta fermo un altro principio: quando la i è tonica (accentata), si conserva sempre (“farmacìa” → “farmacìe”, “strategìa” → “strategìe”). Nel caso di “mancia” la i è atona e il gruppo -cia è preceduto da una consonante (“n”), per cui la i cade e il plurale è “mance”.

È utile anche capire perché questa regola è, come spiegano i repertori, “puramente ortografica”. Nel singolare, la i di -cia/-gia serve a “indolcire” c e g davanti ad a, o, u; ma al plurale la vocale che segue è e oppure i, che già di per sé rende dolci c e g. Di conseguenza, nei casi non accentati la i non è più necessaria a segnalare la pronuncia e può essere omessa quando il nesso è preceduto da consonante. Questo spiega perché “mancia” al plurale diventa “mance” senza cambiare suono, e perché scrivere “mancie” è una ridondanza grafica fuori norma.

Un cenno storico aiuta a non restare spiazzati da vecchie insegne o testi d’altri tempi. La stessa fonte Treccani ricorda che l’attuale “regola pratica” si è imposta solo dalla metà del Novecento; in passato circolavano grafie etimologiche come “provincie” e “ciliege”, che si spiegano con un criterio diverso, non più in vigore. Questa oscillazione storica non riguarda però “mancia”, che i vocabolari d’uso contemporanei registrano con il solo plurale “mance”. Se dunque ti imbatti in “mancie”, non è una “grafia alternativa d’autore”: è semplicemente un errore rispetto alla norma odierna.

Oltre alla regola, è bene avere qualche appiglio pratico. Prima di tutto, pronuncia e accento: “mancia” ha l’accento sulla prima sillaba (“màn-cia”), quindi la i è atona e non “pretende” di essere conservata. Poi l’autorevolezza dei repertori: quando un dubbio tocca forme molto comuni dell’uso quotidiano, la prima verifica è il lemma lessicografico. Qui Treccani indica in modo esplicito “(pl. -ce)”, e la Crusca include “mancia → mance” nella lista dei plurali che perdono la i, al pari di “guancia → guance”, “lancia → lance”, “provincia → province”, “frangia → frange”. L’incrocio di queste due fonti mette al riparo da tentazioni analogiche come “*mancie” sul modello di “camicie”: in quest’ultimo caso la i si conserva perché “camicia” ha una vocale (“i”) davanti al nesso -cia, mentre “mancia” ha una consonante (“n”). In altre parole, “camicie” e “mance” sono entrambe corrette proprio perché rispondono a condizioni diverse della stessa regola.

Chi scrive testi formali potrebbe chiedersi se esistano eccezioni o “doppioni” ammessi anche per “mancia”, magari in registri regionali o letterari. I repertori normativi non ne segnalano; anzi, i dizionari d’uso aggiornati riportano il solo plurale “mance”. Ciò non toglie che, a livello semantico, “mancia” abbia una certa ricchezza d’impieghi: dal significato più comune di somma aggiuntiva per un servizio, a quello storico-letterario di dono o offerta, fino alla locuzione “mancia competente”. Questa variabilità d’uso non incide tuttavia sulla grafia del plurale, che resta invariabilmente “mance”. Per chi ama la certezza delle fonti, il lemma Treccani è il riferimento più comodo e affidabile.

Per fissare la grafia senza ricorrere a mnemonici, è utile vedere la parola in contesti diversi, come capita nella scrittura di ogni giorno. In un comunicato rivolto ai clienti di un ristorante si può leggere: “Il servizio è incluso; le mance non sono obbligatorie e restano a discrezione dell’ospite”. La frase è standard, valorizza il plurale come categoria amministrativa e utilizza correttamente “mance”. In una nota per il personale alberghiero, è naturale scrivere: “La direzione ricorda che le mance vanno ripartite a fine turno secondo il regolamento interno”, dove il sostantivo al plurale indica i piccoli importi raccolti nell’arco della giornata.

In un articolo di costume che fotografi le abitudini di diversi Paesi, potresti leggere: “Negli Stati Uniti le mance sono attese e spesso determinano una parte rilevante dello stipendio dei camerieri”, frase che inquadra l’uso sociale senza interferire con la grafia. In una pagina informativa per un evento, suona naturale: “Per ragioni fiscali le mance dovranno essere consegnate in contanti alla cassa e non potranno essere aggiunte sul POS”, dove il contesto amministrativo non cambia l’ortografia. In una guida per tirocinanti alla prima esperienza nella ristorazione, trova posto una raccomandazione efficace: “Ringraziate sempre con gentilezza per la mancia e annotate l’importo nel registro a fine servizio”.

Nelle comunicazioni aziendali si può leggere: “Il regolamento stabilisce che le mance raccolte durante le festività siano destinate a un fondo comune”, frase che mostra il plurale in funzione di categoria contabile. In un contratto di collaborazione, un inciso chiarificatore può recitare: “Eventuali mance ricevute durante lo svolgimento della prestazione non costituiscono parte della retribuzione”, ancora con la forma regolare. In un cartello vicino al bancone di un bar compare spesso un messaggio ironico ma corretto: “Le mance non sono necessarie, ma sono molto apprezzate”.

In narrativa, il sostantivo si presta tanto al singolare quanto al plurale. Una frase in terza persona potrebbe suonare così: “Alla fine del turno, infilò le mance nel barattolo di vetro e spense l’insegna”, dove il plurale rimanda alle piccole somme ricevute dai diversi clienti. In un racconto in prima persona, la voce narrante può dire: “Quella sera la mancia di un turista mi pagò il taxi fino a casa”, col singolare che si riferisce a un’offerta precisa. In una cronaca di costume, un redattore potrebbe annotare: “Con la diffusione dei pagamenti digitali, le mance si lasciano sempre più tramite app”, dove il plurale individua un comportamento collettivo.

Anche i registri più letterari consentono impieghi suggestivi senza derogare alla norma. In una pagina di memoria familiare si può scrivere: “Mio nonno, fabbro di campagna, riceveva la mancia nelle grandi occasioni, e la metteva da parte per il gelato dei nipoti”, frase che dimostra l’uso legittimo del singolare. In un reportage, a valenza quasi sociologica, si trova spesso una chiusa del tipo: “Per molti lavoratori del turismo le mance rappresentano un’integrazione non trascurabile”, con il plurale che dà corpo statistico al fenomeno.

Persino i testi regolamentari e le FAQ aziendali offrono esempi utili. Una compagnia di trasporti può indicare: “Le mance all’autista sono facoltative e non richieste”, formula secca e corretta. In un’informativa fiscale dedicata ai dipendenti, una frase del genere è del tutto naturale: “Le somme ricevute a titolo di mancia vanno dichiarate secondo la normativa vigente”, con il singolare usato per definizione astratta. In una didascalia social, si può leggere: “Grazie di cuore per le mance di ieri sera: ci aiutano a migliorare il servizio”, dove la scelta del plurale è legata all’idea di raccolta.

Questi esempi coprono registri diversi — dall’amministrativo al giornalistico, dal narrativo all’informale — e in tutti i casi la forma è la stessa: “mancia” al singolare, “mance” al plurale. Se vuoi un ultimo controllo, torna al lemma lessicografico e alla pagina di regole: vedrai ribadito che, con una consonante davanti a -cia e con i non accentata, la i non si mantiene. È proprio ciò che succede in “mancia”, e da qui la forma “mance”, l’unica da usare quando parli di più offerte o di un piccolo gruzzolo lasciato dai clienti a fine giornata.

In conclusione, si scrive “mance” e non “mancie”. La regola che governa i plurali in -cia/-gia è coerente e, nel caso specifico, confermata sia dal vocabolario sia dalla consulenza dell’Accademia: i non accentata e consonante che precede il nesso -cia impongono la caduta della i. Memorizzare questa logica, più che una lista di parole, ti mette al riparo da incertezze e analogie fuorvianti: “camicie” sì, perché c’è una vocale prima di -cia; “mance” sì, perché c’è una consonante. Tutto il resto è un errore che vale la pena evitare.

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Laureato in lettere classiche, formatore nel campo della comunicazione e grande appassionato di rete.

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